A SILVIA

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Silvia rimembri ancora quel tempo della “nostra” vita mortale quando beltà splendea negli occhi “nostri” ridenti e fuggitivi…
Eh già, cara cugina, sembra ieri che io e te, nati quasi 35 anni fa a 9 giorni di distanza l’uno dall’altra, ce ne stavamo sul terrazzo della “casa del nespolo” in via sant’Alberto 61 a Genova, a giocare con la nostra amata cagnolina Clotilde, ignari all’epoca di quello che la vita ci avrebbe riservato per il futuro.
Sono passati più di 30 anni dallo scatto in copertina e soli pochi giorni da quello qui sotto:
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in mezzo una vita vissuta e sudata, sempre insieme per i primi anni e poi lontani per più di 20.
Karlzrue. Germania. Week end 13 – 15 Maggio. Dopo tanto parlare ed inseguirci alla fine sono riuscito a venire a trovarti in questa verdeggiante e universitaria città al centro della Germania, nella quale vivi da tre anni. Sono venuto a trovarti perché come sai, qualche anno fa la mia vita è cambiata, nulla di grave come ti ho detto, ma quel “nulla di grave” che ti fa mettere tutto in discussione, che ti fa capire che non sapevi di non sapere, mentre andavi dritto per la tua strada senza ascoltare nessuno, facendoti trovare improvvisamente all’estremo opposto della meta che volevi raggiungere; quel “nulla di grave” che modifica gli equilibri, cha cambia il focus spostandolo dal lavoro e dalla “Matteocentricità”, a quella famiglia che di colpo capisci di avere, sulla quale puoi sempre contare, che non hai mai curato a dovere ma che ti accorgi, anche se da lontano, non averti mai abbandonato. Sono venuto a trovarti per saper un po’ di te, cosa hai fatto in questi tanti anni, di cosa ti occupi e chi sono le persone che frequenti. Sono venuto a trovarti per raccontarti un po’ di me, di cosa ho fatto in questi anni, di cosa mi occupo e chi sono le persone che frequento. Sono venuto a trovarti e sono stati tre giorni davvero belli. Intanto Karlzrue non è poi così male: piccola, a misura d’uomo, con un parco meraviglioso e con dei ristorantini davvero carini; mi è sembrata la tipica città tedesca che però se la tira un po’ di meno; non vi dico che la consiglieri per passarci un’intera settimana, ma sicuramente vale la pena soggiornare almeno una notte per visitare il castello con i suoi giardini a ventaglio, il giardino botanico, fare un giro sul trenino a carbone al “Fasanen garten” e cenare in un tipico locale del Baden – Wurttemberg per mangiare uno squisito piatto di Maultaschen. I tuoi amici sono stati davvero simpatici e mi hanno fatto tornare a quella spensieratezza universitaria che io non ho mai vissuto. E poi ci sei stata TU, che ti sei presa cura di me e in un attimo, 20 anni si sono annullati tornando ad assomigliare a quegli unici nove giorni di Ottobre del 1981 che ci hanno separati alla nascita. Certo tu oggi sei diversa come diverso sono io: tu sei una ricercatrice fisica e studi lo spazio e la materia oscura, hai provato a spiegarmi cosa è una particella e la differenza tra protoni e neutroni e io per tre giorni ti ho guardata con una faccia attonita. Io sono un’istruttore di fitness e mi occupo del benessere delle persone, ho provato a spiegarti cosa è un cardiofrequenzimetro e tu per tre giorni mi hai guardato come se fossi posseduto dal demonio; ma tutto questo non ha importato, per tre giorni tu sei tornata ad essere quella che mi faceva vincere a carte quando eravamo piccoli perché io mi arrabbiavo se perdevo e, se anche posseduto dal demonio, tu hai fatto finta di capire cosa fosse un cardiofrequenzimetro, e hai fatto bene, perché per quanto uomo io sia ora, ancora non sono capace di perdere. Mi inorgoglisce e mi piace pensare che gli studi che fai ti porteranno a cambiare il mondo in cui viviamo. Mi piace pensare che a modo mio, nel mio piccolo, il mio lavoro, che è fatto del raccontare alla gente quanto l’attività fisica possa cambiare la loro vita, mi porteranno a cambiare il mondo in cui viviamo. Dopo l’università a Genova tu hai girato in lungo e in largo per il globo terracqueo, 4 anni a Lione, 3 a Dallas e ora 3 in Germania, convegni e conferenze in Europa e negli Stati Uniti, il CERN a Ginevra e le visite nei più importanti laboratori di ricerca nucleare del pianeta. Io prima ancora di terminare il mio percorso universitario, in giro per l’italia a sciare in inverno in val d’Aosta e a lavorare in Sardegna in estate per poi approdare, per amore, nella Milano per me “paese dei balocchi”, che tanto ho amato, che amo ancora, ma che sento piano piano diventarmi sempre più stretta. Mentre io sogno di comprami una barca a vela per girare il mondo e scrivere delle mie avventure o più semplicemente di prendere una casa in Toscana per il mio buon ritiro del fine settimana, tu hai appena accettato un posto di lavoro irrinunciabile a SNOLAB in Canada, il centro di ricerche che l’anno scorso ha vinto il premio Nobel e ad Agosto ti trasferisci a Sudbury, in mezzo ai laghi e alla neve a 400 km da Toronto. Mi hai detto di essere stata fortunata a ricevere la proposta di un posto fisso così prestigioso, ma io non ci credo, cara Silvia, perché come dice Seneca: la fortuna non esiste, è semplicemente il talento che incontra l’occasione.
Orgoglioso di essere tuo cugino ti saluto, ti ringrazio dalle pagine del mio blog per questa bellissima gita fuori porta e ti auguro un in bocca al lupo per la nuova avventura, con la consapevolezza che verrò presto a trovarti in Canada.
Ti voglio Bene
Grinta

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TOSCANA, GIOIA E DOLORI

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Amo la Toscana. Da Ligure, che ha un rapporto di odio e amore con la propria terra, amo follemente la Toscana. La terra del mio buon ritiro, quella che immagino come posto dove vivere sul finire dei miei anni e quella i cui vorrei vivere in questi di anni, dal giovedì sera al lunedì mattina, dopo essere scappato dal caos milanese di cui ancora ho così tanto bisogno.
È da un mese che non scrivo. Non scrivo da quando per il ponte del 25 Aprile sono stato in Toscana. Non scrivo da quando in partenza per la Toscana mi è stata rubata la borsa con dentro il mio adorato PC portatile ultrapiatto con il quale ho scritto tutti i miei articoli precedenti.
Continuerò ad amare la Toscana nonostante il “lutto” e continuerò a scrivere con il mio nuovo PC, mastodontico in confronto al mio amato Samsung, ma che sono certo mi darà tante soddisfazioni; benvenuto ASUS G. Continuerò a scrivere e voglio riprendere con un augurio: auguro a te che mi hai rubato la borsa le meglio cose; già, perché non avrai il mio odio (lo hai avuto per un decina di minuti e sono stati sufficienti) e perché da quella borsa sono sicuramente uscite solo cose bellissime.
Ti auguro di avere una mamma come la mia che tanti anni fa mi ha regalato quella borsa da viaggio da uomo in pelle, che tanto gelosamente custodivo, che in tanti viaggi e avventure mi ha accompagnato e che sempre con orgoglio sfoggiavo.
Ti auguro di fare meraviglie con quel PC ultrapiatto bianco; ti auguro di usarlo come si deve e come non si deve e ti auguro di non dare limite alla tua fantasia come io non l’ho mai data nella stesura dei miei articoli. Non so onestamente cosa tu possa fare con i miei file di lavoro e con le tante foto della mia vita che lì erano custodite, ma quello che so è che sfogliando i file di lavoro sentirai l’odore della fatica e delle cose conquistate, mentre guardando le mie foto proverai emozione per una vita vissuta con entusiasmo e gioia e passione e dolore e paura e ansia e dolcezza e imbarazzo, ma sicuramente vissuta. A proposito la password è B _ _ _ _ _.
Ti auguro di scaldarti con quel piumino leggero che era ripiegato all’interno, nuovo e mai usato. Ti darà la parvenza di un ragazzo pulito educato e scanzonato. Solo la parvenza.
Ti auguro di usare tutto quello che era nel mio beauty; mi raccomando la crema idratante viso per la notte spalmala bene ed in modo omogeneo ma fai in modo che venga assorbita lentamente; usa con un pizzico di presunzione il mio profumo di Cristhian Dior “Bois d’Argent” da 210 ml; non ti dico quanto costa, lo lascio scoprire a te, l’unica cosa è che ti dovrai recare in negozio in via Montenapoleone, non lo vendono da altre parti.
Ti auguro di indossare con eleganza la giacca di pelle marrone che era appoggiata sopra la mia borsa. Ci ero affezionato, quindi ti prego portala con classe, ma stai attento perché l’aria un pò sbruffona da TOP GUN che ti darà lascerà stese tutte le ragazze.
Infine ti auguro, con tutte queste belle cose di cui ti sei gentilmente appropriato, di passare un bellissimo week end immerso nella magnificenza delle colline toscane circondato da amore e amicizia come è successo a me, perché nonostante qualcuno un giorno potrebbe appropriarsi indebitamente di un po’ della tua vita, ci sono momenti, emozioni, immagini, sentimenti, profumi e sapori dei quali nessuno potrà mai privarti.
Matteo is Back.
Grinta.

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UNA GIORNATA AL SALONE DEL MOBILE DI MILANO

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“In questi giorni Milano è bellissima, i grattacieli sono illuminati, il tempo è bello, ci sono feste, colori e tanta gente per strada perché è la settimana del Salone Del Mobile. Interi quartieri sono diventati spazi espositivi, latterie, ferramenta ed elettrauto sono stati requisiti ed affittati da stilisti e designer di tutto il mondo. Ci sono eventi dappertutto e la gente va nelle strade ed entra nei cortili e chiede se c’è un evento, si vedono i portinai mandare via gruppi di giapponesi dalle rampe delle scale dei condomini, perché i giapponesi le hanno confuse per installazioni e fotografano anche le rastrelliere delle biciclette. Per strada gira gente fighissima, con gli occhiali grandi grandi, le barbe lunghe lunghe e i risvolti dei pantaloni tirati su come quando ti si è allagata la casa e aspetti l’idraulico, essi sono gli hipster, chissà dove vivranno e cosa faranno per tutto il resto dell’anno. Ci sono grandissimi padiglioni con oggetti molto belli e dopo un po’ di tempo si capisce anche che cosa sono; ne sono sempre molto attratto ma mi fanno sentire a disagio rispetto alle cose di casa mia, io a casa ho un tavolo fatto a tavolo, invece se al salone vedi un tavolo e lo chiami tavolo chi o ha progettato un po’ si offende. In un padiglione ho visto una poltrona che mi sembrava abbastanza comoda ma il signore che me la descriveva mi ha detto che non era una poltrona ma un oggetto che esaltava l’espressività e mi ha dato una brochure; effettivamente non c’era da nessuna parte scritto che si trattava di una poltrona ma che si chiamava PENSIERO ed era un progetto per dare forma allo spazio. Quando ho chiamato lampada una lampada mi hanno detto che era un parallelepipedo oscuro e opaco e infatti si chiamava IMMAGINAZIONE perché non emette luce, bisogna immaginarla. Mi hanno anche detto che viviamo in un’epoca in cui la flessibilità degli ambienti è essenziale: “anche quel divano è flessibile?” ho chiesto vedendo un divano: “non è un divano, nulla è più un divano” mi ha risposto il responsabile dello stand, “è piuttosto un luogo di incontro per promuovere socialità e confronto, si chiama SQUARE”. A 500 mt da casa mia c’è una falegnameria, restaurano mobili vecchi e ne costruiscono di nuovi, per me hanno fatto un armadio e riparato un sacco di cose; il titolare si chiama Fabio, sono andato a salutarlo e gli ho chiesto cosa stesse facendo: “sto facendo sei sedie, non vedi?”, erano fatte a sedia con quattro gambe ciascuno e così l’ho abbracciato, non perché fossero particolarmente belle ma perché le ha chiamate con il loro nome. Alla fine della visita al salone del mobile, stanco ma contento per la bella giornata appena trascorsa, ho capito che sarebbe rilassante vivere in un mondo in cui le sedie si chiamano sedie, le cucine cucine, i divani divani e le cazzate… cazzate!”

Domenica appena trascorsa, 17 Aprile 2016, sono stato al Salone Del Mobile di Milano e avrei tanto voluto scrivere io il tema che avete appena letto e invece lo ha scritto Fabio Fazio (o i suoi autori) che lo ha letto in diretta nel prologo della puntata di CHE TEMPO CHE FA di sabato sera 16 Aprile. Domenica appena trascorsa sono stato al Salone Del Mobile di Milano, erano dieci anni che non ci andavo e forse contrariamente a molti non l’ho trovato un gran che. Me lo ricordavo più bello, forse perché quando lo vidi la prima volta nel 2005 avevo gli occhi della tigre di un ventitreenne rampante e “self made man”, venuto dalla piccola città per conquistare la grande metropoli; o forse perchè il fascino romantico e cittadino della vecchia Fiera Milano City vince a mani bassi sulla magnificenza un po’ fredda e periferica della nuova fiera di Rho; o forse semplicemente perchè mi aspettavo che con i trenta euro del biglietto di ingresso mi dessero almeno un forno a microonde. La verità è che non l’ho trovato un gran chè perché personalmente ho visto tanti immensi e spesso inutili luccichii, così vicini agli occhi di quel ventitreenne rampante che ormai non c’è più, ma così lontani dal cuore di un nuovo maturo trentaquatrenne alla disperata ricerca di cose semplici e modeste, felice comunque nel sapere, o quantomeno sperare, che la fiera sia andata bene a livelli di numeri.
E poi ci sono stati tutti gli eventi del fuori salone che per una settimana hanno animato e colorato la città, meta immancabile un tempo del vecchio ventitreenne e motivo di traffico inutile per il giovane trentaquatrenne che torna a casa stanco dopo una giornata di lavoro. Di tutte le cose del fuori salone che, tengo a precisare, non ho visto, una su tutte mi ha colpito e fatto ridere come avrebbe fatto un tempo quel ventitreenne rampante, un post del “Milanese imbruttito” che recitava più o meno così : “CAZZO ANDATE TUTTI AGLI EVENTI DEL FUORI SALONE CHE POI LA DOMENICA SIETE TUTTI ALL’IKEA!”

Grinta

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GRAZIE AL CASCO

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Si chiude una settimana difficile. Difficilissima dal punto di vista delle cadute. Iniziata lunedì pomeriggio in ufficio, quando nella tranquillità di una conversazione tenuta, forse, con una postura non del tutto corretta, la sedia sulla quale ero seduto si è spezzata a metà, proprio all’altezza della bassa schiena, dove la seduta fa una piccola curva e diventa schienale. Si è spezzata facendomi crollare fantozzianamente a terra. Diagnosi: collo incassato con leggera tensione alla zona cervicale, pantaloni della tuta rotti e due “sbreghi” lunghi e profondi all’altezza delle natiche, causati da due spuntoni formati dalla rottura della vetroresina, quasi come quando Venere nacque dalla spuma delle acque. Ma questo è niente…
Mercoledì 23 Marzo. San Domenico di Varzo. Sole. Io, il mio amico e collega Stefano e altri venti “SCImmiati”. Una giornata di sci stupenda, dedicata agli amanti di questa disciplina per provare i modelli di sci HEAD e FISCHER della prossima stagione; tanta grinta energia e sciate come se non ci fosse un domani. Neanche una nuvola in cielo, neve stupenda, solo altre venti o trenta persone a dividere il piccolo ma grazioso comprensorio Ossolano insieme a noi. Dopo aver aperto le piste alle ore 8.30 e aver provato già quattro modelli di sci, alle ore 16.15 con le gambe un po’ stanche, eravamo pronti all’ultima discesa. Io, con ai piedi un paio di sci da gara HEAD I- SPEED PRO 170 cm, ho lasciato scendere prima Stefano e Alice, gli ultimi due reduci di quell’incredibile giornata, e poi mi sono lanciato: serpentina stretta e veloce sul muro, lungo curvone in piega a sinistra, dove la pista si divideva in due, due o tre curve tirate al limite a conduzione larga e raggio molto stretto dove la pista spianava leggermente e poi dritto in “picchiata” fino al salto; salto che, credendomi Aksel Lund Svindal, ho preso a velocità supersonica senza tener conto che io non ero Aksel Lund Svindal e sul quale sono atterrato scoordinato, prima su uno sci solo, poi con la faccia, dando una testata clamorosa sulla neve, seconda solo a quella di Zidane a Materazzi nel 2006, per poi ruzzolare e scivolare in modo scoordinato senza freni, ritrovandomi schiena a terra, faccia in su, senza sci, alcuni metri più sotto. Lo posso dire: Grazie al casco! Grazie al casco e al paraschiena che uso sempre non mi sono fatto niente, solo una grande botta, un po’ di spavento e la consapevolezza di essere l’umano SCORZA e non il marziano SVINDAL. La giornata si è conclusa con un po’ di confusione in testa, ricordi annebbiati per qualche ora e tanto Voltaren su collo e spalla alla sera. Il giorno dopo la sensazione è stata quella di aver fatto a pugni con Mike Tyson la sera prima: collo bloccato e una gran mal di testa, muscoli delle spalle tesi come una corda di volino e spalla sinistra fuori uso, fare Body Pump alle 13.00 non è mai stato così dolorosamente complicato.
Sabato 26 marzo, ieri tanto per capirci, al mattino mi chiama il mio amico Stefano per sapere come sto e per dirmi che lui è a Courmayeur per la Pasqua. In coda alla telecabina di Dolonne, mi dice che c’è tantissima gente e che rimpiange la solitudine degli sciatori primi vissuta il mercoledì precedente insieme a me sulle nevi piemontesi, ci facciamo gli auguri di buona Pasqua, gli auguro di fare una buona sciata e ricordando il mio capitombolo gli raccomando di andare piano e usare sempre il casco.
Ieri sera, mentre mi accingevo ad iniziare la stesura dell’articolo, mi arriva questa foto:

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Pista Gabba, cunetta malefica, sci che s’incrociano, caduta rovinosa, spalla lussata, toboga, traumatologico e due settimane con il tutore ed il braccio fermo. Forza Stefano tornerai presto in forma.
Ora, o sono io che porto sfiga, oppure la settimana che grazie a Dio oggi si conclude con la Santa Pasqua verrà ricordata come da dimenticare e sarà soprannominata la settimana delle cadute?
Questo articolo non vuole essere solo un racconto, ma un invito a tutti ad usare sempre il casco; che voi stiate sciando, andando in moto, in bici o stiate facendo qualsiasi cosa dove una caduta è da mettere in conto, usate sempre il casco e le protezioni necessarie, vi salveranno al vita. Ad oggi io sono ancora tutto ammaccato e ho dolori ovunque, ma senza casco e paraschiena sarebbe andata molto peggio.
Facendo una riflessione sugli incidenti da me descritti questa settimana, ma ampliandola e condividendola con voi a tutti gli incidenti, l’imprevedibilità e la sorte sono le caratteristiche che li accomuna, incredibile è pensare come un istante appena prima che la vita cambi, tutto filava per il meglio e nessun presagio fino a quel momento era portatore di sventura.

Tempo di lettura previsto 3 minuti.

Buona Pasqua a tutti!

Grinta

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IMPRESE

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Da un punto di vista sportivo, i giorni appena passati sono stai davvero grandiosi e ricchi di IMPRESE per i colori italiani. Dalla vittoria di PETER FILL in coppa del mondo di discesa libera, prima volta di un italiano nella storia di questa disciplina, a Federico Pellegrino diventato il nuovo re dello sci di fondo portando a sei il numero di vittorie nel world tour. Da Gianmarco Tamberi che a soli 23 anni, salta 2,38 metri, migliorando il record di italiano di un centimetro, passando per Gigi Buffon che abbatte il vecchio record di imbattibilità nel campionato italiano di calcio portando il nuovo a 973 minuti, fino ad arrivare al leggendario Simone Moro che il 26 Febbraio ha raggiunto per la prima volta nella storia, durante il periodo invernale, la cima del Nanga Parbat, la montagna “Killer”, che con i suoi 8126 metri è la nona montagna più alta della terra, diventando anche l’unico alpinista al mondo ad aver scalato quattro volte un ottomila metri in inverno.
Sabato sera 19 marzo, festa del papà, facendo un po’ di zapping in TV, come spesso mi capita, mi sono soffermato a guardare “CHE TEMPO CHE FA”, la trasmissione di Fabio Fazio, dove erano appunto invitati tre degli atleti citati prima, i tre accomunati da imprese sportive avvenute in quota: Fill, Pellegrino e Moro. Al di là dell’emozione quasi fanciullesca nel sentire i loro racconti che, per effetto di similitudini naif nate dai miei occhi chiusi, mi portano ad immaginare di essere io al loro posto, da sempre sono affascinato dalle grandezze delle IMPRESE che a volte dei piccoli uomini compiono. Come spesso accade ascolto e guardo la trasmissione fino a quando il conduttore, Fabio Fazio, lascia l’ultima parola al giornalista, Massimo Gramellini, concedendo a lui l’onore di chiudere la trasmissione con una riflessione che genera dal suo punto di vista. Che possa piacere il suo essere giornalista o no, quella di questa settimana mi è piaciuta particolarmente:
“Io stasera vi riporto sulla terra dopo avere spiccato il volo, e aver parlato di IMPRESE sportive. Grazie al film di Fabio Volo, “Un paese quasi perfetto” che spero andrete a vedere e che parla di cassintegrati, ci permette di parlare di quel modo di fare IMPRESA economica, che ormai sembra essere diventata in Italia la vera IMPRESA. Ho conosciuto di recente un manager italiano che dirige un’azienda americana di proprietà DI un fondo pensionistico statunitense; visti i profitti straordinari gli azionisti lo hanno convocato in America per dargli un premio; una volta arrivato gli anno detto: “Bene, il prossimo anno vogliamo da lei gli stessi risultati però con il 10% di dipendenti in meno così aumentiamo gli utili”. Lui è rimasto un po’ in silenzio e poi li ha gelati con una domanda brevissima però sconvolgente: “Why? Perché? Io vi porto già un sacco di soldi perché ne volete ancora di più al prezzo di gettare sul lastrico decine, forse centinaia di famiglie?”. Intendiamoci, ogni imprenditore lavora per guadagnare soldi, ma una volta il successo di un imprenditore si valutava dalla grandezza dell’azienda, dal numero di dipendenti, adesso invece si valuta dal valore delle azioni e gli utili spesso si fanno tagliando i posti di lavoro; tanto è vero che quando un’azienda licenzia, le sue azioni salgono in borsa. Oggi la parola investire, che è una parola bellissima, fa paura; fa paura perché ha a che fare con il futuro ed il futuro non sembra più interessare a nessuno, se non forse agli innamorati. In un mondo così appiattito sul presente, gli unici a concedersi il lusso di creare e di rischiare sono i giovani che fanno le start–up; ma dopo un po’ di tempo cosa succede, succede che queste start–up vengono comprate dalle multinazionali e l’idea originale che le aveva fatte emergere non cresce più, anzi, viene omologata dal sistema; loro, quei pochi creativi diventano ricchi, ma è una ricchezza individuale che non porta ricchezza per altri. Ecco il capitalismo in occidente ha iniziato a perdere senso da quando un operaio che costruiva un frigorifero ha cominciato a non potersi più permettere di comprare quel frigorifero; cioè prima spendeva e faceva girare il sistema, ma se adesso le imprese licenziano o sottopagano i lavoratori, con quali soldi questi lavoratori possono continuare a comprare i prodotti delle imprese alimentando la famosa crescita? E infatti la crescita non c’è, non può esserci, se tagli i lavoratori, tagli i consumatori e su questo paradosso l’intero sistema economico mondiale si è bloccato, impoverendo ed estromettendo il ceto medio che, come vedete, dall’America di Trump all’Italia di Salvini, reagisce premiando le forze antisistema. La cosa peggiore è che diamo ormai tutto questo per scontato, come se fossimo su un treno senza conducente che non si può più fermare, eppure ci sarà una possibilità di cambiare binario? Qualche dritta ci arriva anche dal film di Fabio volo, perché questo film ci insegna che a volta per ripartire non bisogna più farlo concentrandosi sul singolo individuo, che è stato il mantra degli ultimi 30 anni, ma dalla comunità, cercando nel proprio territorio qualcosa di unico da valorizzare, perché l’IMPRESA del futuro, non consisterà nel fare meglio degli altri quello che fanno già tutti, ma nel fare meglio che si può qualcosa che non ha fatto ancora nessuno”.

Premesso che non ho ancora visto il film di Fabio Volo, ma che lo andrò a vedere presto, vi dico che ieri, domenica 20 Marzo 2016, c’è stata la Stramilano. 63.000 iscritti e una grande festa in una Milano assolata e bella più che mai. Come tutti gli anni accade, noi come gruppo GetFIT abbiamo partecipato e quest’anno eravamo più di 600. A differenza dell’anno scorso dove il mio compito era quello di correre con i più veloci facendoli concludere in cinquanta minuti, quest’ anno l’onore di fare da “Pacer” al gruppo dell’ora e venti minuti, quelli un po’ più lentini, quelli che pensano di non potercela fare a correre 10 km senza mai fermarsi, quelli, tanto per intenderci che hanno iniziato ieri e, scoprendo un mondo nuovo fatto di nuove energie e sinergie, non si fermeranno più. Forse non avremo scalato il Nanga Parbat a – 58°C. e non ci saremo lanciati a 150 Km orari giù dalla Straiff, ma ieri l’IMPRESA è stata di tutte quelle persone che hanno voluto esserci in una giornata di festa. È stata l’IMPRESA di Ilaria, Simona, Francesca, Giulia ed Elisa che hanno corso per la prima volta nelle loro vita 10 Km. È stata l’IMPRESA di Emma che a 10 anni, ha corso 10 km con il numero di telefono di casa sua sul pettorale in caso si fosse persa. E’ stata l’IMPRESA delle mie allieve di via Piacenza che dopo anni di “Matteo non ci pensiamo neanche a venire”, ieri, fiero di loro e per loro hanno varcato l’ingresso in Arena Civica. Ieri l’impresa è stata del mio collega Paolo e di sua moglie che con i loro tre fantastici figli ancora piccolissimi, erano presenti, dopo aver corso con passeggino gemellare a seguito, all’arrivo insieme a noi. Ieri l’IMPRESA è stata di quel signore, del quale purtroppo non conosco il nome, che ho incontrato lungo il percorso, all’altezza di porta romana, che con il suo passo mai camminante, indossava una maglia con su scritto “CLASSE 1925”, 91 anni e tanta Grinta. Esempio. Ieri l’IMPRESA è stata di Adele, un signora di 83 anni conosciuta all’arrivo in Arena e mia nuova amica su Facebook che ieri pomeriggio sul suo profilo ieri scriveva : “Oggi STRAMILANO, io c’ero ed ho concluso tranquillamente i miei ormai canonici 5 Km, per la mia 32esima medaglia. Ho fatto anche un sacco di fotografie ma la mia macchinetta sta facendo i capricci e non vuole saperne di collegarsi al computer, vedrò di risolvere il problema al più presto. Ciao.” Ciao Adele, grazie per avermi aggiunto su Facebook e per il tuo abbraccio caldo e sincero a fine corsa perché in fondo fare IMPRESA vuol dire fare meglio che si può qualcosa che non fa ancora nessuno!

Tempo previsto di lettura 6 minuti

Buon inizio di primavera a tutti.

Grinta

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QUALCUNO MI DICE… (parte 2)

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Qualcuno mi dice che ogni tanto i miei articoli sono troppo lunghi per un blog. Un po’ mi offendo, incasso, rifletto, penso che abbia ragione e poi spiego. Spiego raccontando il motivo per cui scrivo. Scrivo perché ho delle cose da dire e che, vivendo da solo, forse frustrato o forse intimamente felice, mi piace dirle ad un pubblico indefinito che, udite udite, può scegliere anche di non leggerle. Scrivo di cose che mi piacciono, di argomenti che ritengo interessanti e a volte di banalità che guardate da un altro punto di vista possono (spero) offrire spunti interessanti. Scrivo e pubblico i miei articoli sempre di prima mattina, immaginando che il mio lettore sia colui che con calma sta facendo una buona colazione con musica di sottofondo e una bella luce che entra dalle finestre; o forse colui che un po’ di fretta, ma non troppa, si appresta ad uscire di casa e per il momento è ancora bloccato, tra un misto di piacere e dovere, sulla tazza del water; o forse colui che sta sul tram o sulla metropolitana, fagocitato da internet, chino sulla “piccola scatola”, alla ricerca di qualcosa da leggere di interessante per riempire il tempo che lo separa dall’arrivo in ufficio.
Scrivo immaginando tutto questo e sbaglio.
Sbaglio perché dopo l’articolo di giovedì scorso “QUALCUNO MI DICE… (parte 1)”, cinque lettori del mio blog mi hanno scritto per condividere con me che lo stato d’animo con il quale hanno letto ed il luogo dove lo avevano fatto non erano quelli da me supposti.
C’è chi l’ha trovata un’interessante lettura da fare in funivia, chi ha tenuto a precisare che si trovava in ufficio e non sulla tazza del water, (che sia mai che si possa pensare che anche lui/lei faccia dei bisognini) chi mi ha letto al mattino appena sveglio ancora sotto le “calde coperte”, chi invece l’ha apprezzata come compagnia e piacevole lettura serale che è servita a “scrollare via di dosso un lungo giovedì” e poi c’è stata Gabriella che mi hai scritto: “Caro Matteo ti sei dimenticato di scrivere che i tuo pezzi li leggono anche i pensionati come me; sono contenta perché leggendoti è come se ti incontrassi”. Sono felice e penso che questo pensiero, cogliendo nella sua semplicità l’essenza della mia opera, valga più di mille inutili rime baciate. Grazie.
Visto che siamo in periodo di campagna elettorale, primarie e referendum, l’articolo di oggi, per par-condicio, si rivolge a tutti coloro che hanno fretta, sono sempre di corsa, vivono un po’ stressati, mettono via lo step dopo il brano 7 durante body pump e che in metropolitana, tendenzialmente, dopo l’immancabile dose di Facebook, litigano con il prossimo; si rivolge a chi vive una vita una vita “ermetica” piuttosto che “romantica”, immaginando che in quell’ermetismo ci sia tanto di romantico.
L’articolo di oggi vuole essere solo una riflessione. Una riflessione su una pubblicazione scritta il 26 Gennaio 1917, quasi 100 anni fa, a Santa Maria la Longa. Una pubblicazione tanto amata dagli studenti italiani, ma probabilmente per motivi di altro genere rispetto al suo reale significato. Vuole essere un pensiero sul fatto che questo testo, scritto in una “mattina” sul fronte di guerra, se compreso nel suo più intimo intento di descrizione del rapporto tra stato dell’uomo e natura, risulti quanto mai attuale ai giorni d’oggi. Un pensiero che dedico a tutti coloro che lasciando per un attimo la piccola scatola da parte, alzando gli occhi al cielo, salendo in superficie all’uscita della metro, andando con lo la mente oltre la finestra o semplicemente perdendosi con lo sguardo negli occhi del loro amore, possano sentirsi ebbri di vita, dolcemente trafitti da un raggio di sole:

M’illumino d’immenso.

Caro Ungaretti, lo devo ammettere: sei stato davvero bravo. Io ci provo a starti dietro con il mio ermetico romanticismo, ecco come:

Grinta

Tempo previsto di lettura 3 minuti.

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QUALCUNO MI DICE… (parte 1)

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Qualcuno mi dice che ogni tanto i miei articoli sono troppo lunghi per un blog. Un po’ mi offendo, incasso, rifletto, penso che abbia ragione e poi spiego. Spiego raccontando il motivo per cui scrivo. Scrivo perché ho delle cose da dire e che, vivendo da solo, forse frustrato o forse intimamente felice, mi piace dirle ad un pubblico indefinito che, udite udite, può scegliere anche di non leggerle. Scrivo di cose che mi piacciono, di argomenti che ritengo interessanti e a volte di banalità che guardate da un altro punto di vista possono (spero) offrire spunti interessanti. Scrivo e pubblico i miei articoli sempre di prima mattina, immaginando che il mio lettore sia colui che con calma sta facendo una buona colazione con musica di sottofondo e una bella luce che entra dalle finestre; o forse colui che un po’ di fretta, ma non troppa, si appresta ad uscire di casa e per il momento è ancora bloccato, tra un misto di piacere e dovere, sulla tazza del water; o forse colui che sta sul tram o sulla metropolitana, fagocitato da internet, chino sulla “piccola scatola”, alla ricerca di qualcosa da leggere di interessante per riempire il tempo che lo separa dall’arrivo in ufficio. Oggi scontenterò chi mi dice che i miei articoli sono troppo lunghi, immaginando che il mio lettore sia colui che fa un’abbondantissima colazione, colui che, causa indigestione della sera prima starà seduto tanto sulla tazza del water o che abbia l’ufficio molto distante da casa; scusatemi tanto, farò un regalo alla fine dell’articolo, a tutti coloro che abbandoneranno la lettura a metà.
Dopo aver letto il mio ultimo articolo intitolato “PERFETTI SCONOSCIUTI”, una persona che stimo tanto e alla quale per certi aspetti affido la mia vita, mi ha portato un articolo di giornale tratto da LA REPUBBLICA, scritto il 28 Giugno 2015 da Maurizio Ferraris; l’ho letto, l’ho trovato interessate, e, nonostante mi abbia fatto sentire “arrivato tardi”, condividendolo, lo condivido con voi.

“E’ molto comune considerare la tecnologia come alienazione. Ci sarebbe un sé della natura umana, quello che noi siamo davvero, e che è un condensato di tutte le virtù: buoni, disinteressati, dialogici, generosi, semplici. Poi interverrebbe la corruzione attraverso la tecnica e la società, che porta l’avidità, la menzogna, la sopraffazione, lo sfruttamento e tante altre disgrazie. E’ la visone dell’uomo lasciataci da Rousseau e che sta alla base della stragrande maggioranza dei discorsi sulla tecnologia: sempre al telefonino, sempre sui social a litigare, sempre ascrivere messaggini invece che parlare con i nostri amici e familiari, cosa siamo diventati, come ci siamo ridotti…
Come dire che, se dipendesse da noi , noi saremmo tutt’altro. E’ quel male venuto dall’esterno che ci trasforma e ci aliena. Proprio come quell’attaccabrighe di Rousseau che diceva di sé di essere il più socievole degli uomini. Ovviamente non è così. Siamo sempre al telefonino, ma non è forse perché Aristotele aveva definito l’uomo come un animale sociale? La tecnica, ecco il punto, non è l’alienazione ma rivelazione, ossia mostra all’umanità ciò che realmente è, al di la degli autoinganni, nel bene come nel male.
In particolare, la rivelazione più evidente del web è che non è vero che l’uomo nasce libero e chissà come si trova dovunque in catene, ma piuttosto che l’uomo nasce in catene e può e deve cercare di liberarsi, senza tuttavia nascondersi la naturale attrazione per le catene, per quello che Houellebecq ha descritto come “sottomissione”. E’ il tema antico della servitù volontaria, ma il web lo rilancia con una potenza e una evidenza tutta nuova. Un articolo del New York Times del 20 maggio scorso si intitolava: “Si può far causa al proprio capo, se ci chiede di rispondere di notte alle sue mail?”. Sì si può. Ma il più delle volte non lo si fa, anzi, si risponde a chicchessia, senza obblighi di lavoro, di dipendenza o di altro tipo. Che cosa fa sì che quando il telefono squilla ci precipitiamo a rispondere, che quando un trillo ci avvisa della ricezione di un messaggio apriamo ovunque noi siamo e incominciamo a scrivere a nostra volta? O più banalmente chi ce lo fa fare?
Questo è il cuore inconscio del web; oltre ad essere animali sociali e dotati di linguaggio, e molto prima che essere animali razionali, siamo animali sottomessi, e disponibili a essere mobilitati. Ovviamente, l’onnipresenza della sottomissione nel mondo sociale e nei rapporti interpersonali era evidente anche prima, ma veniva razionalizzata come risultato di motivazioni più profonde e più sensate. Ci si sottomette agli Dei per avere protezione da un mondo sconosciuto e ostile; ci si sottomette al potere perché è più forte; ci si sottomette all’economia per ottenere dei beni. Ma, esattamente, qual è il fine che spinge legioni di esseri umani, ovviamente me compreso, ad accettare così tranquillamente le imposizioni che ci arrivano dal web incominciando dalla coazione a rispondere?
Qui tocchiamo un nocciolo oscuro dell’umanità, la sua torva attrazione verso l’imitazione e l’ubbidienza, che Gadda ha raccontato così bene in Eros e Priapo. Sperare di essere emancipati dal web come tale non è più ingenuo dell’attendere l’emancipazione dalla plastica o dalla ruota. Si potrà essere emancipati attraverso la cultura, come sempre è avvenuto, e oggi può avvenire attraverso il web, con una efficacia molto maggiore perché molto maggiore è la penetrazione del medium. Qui come altrove, dove era l’ES può arrivare l’IO , dove era la sottomissione può arrivare l’emancipazione. Basta volerlo, ma proprio questo non è ovvio, perché di solito gli umani preferiscono le tenebre alla luce”

Tempo di lettura previsto 6 minuti.
Probabilmente, la colazione non è ancora finita, i vostri bisogni sono ancora lì in attesa di uscire del tutto e forse non è ancora arrivato il momento di scendere da tram e metropolitana; in tutti i casi auguro una buona giornata a tutti Noi animali sottomessi, mettendo via la “piccola scatola” che ci rende frangibili, alzando la testa e respirando perché oggi, mentre non ce ne accorgiamo, splende il sole.

Grinta

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PERFETTI SCONOSCIUTI

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Odio gli smartphone. Da un po’ di mesi a questa parte rifletto sull’uso del telefonino, che telefonino più non è, ma si è trasformato in una vera e propria appendice della mano. Rifletto su questo tema ogni lunedì mattina, da quando, da un po’ di mesi, per andare a Sesto San Giovanni uso la metropolitana al posto dello scooter e osservo quei fantasmi lobotomizzati intorno a me, che vivono immersi in un mondo virtuale fatto di vite altrui racchiuse dentro quella piccola scatola. Rifletto da quando mi sono accorto che anche io ero un fantasma lobotomizzato. Rifletto da quando ho ricordato che parecchi mesi fa, la mia amica Sara, durante una cena tra amici che non vedevo da tempo, già allora, mi fece notare la mia presenza – assenza, presenza fisica e assenza mentale, smarrita nei meandri delle applicazioni di quella piccola scatola. Rifletto da quando il mio migliore amico e collaboratore più stretto, durante le riunioni, seduto ad un metro da me mi mandava le mail per dirmi di avere una postura più corretta durante la riunione. Rifletto da quando ad ogni momento del giorno e della notte mia arrivano mail, notifiche messaggi, suonerie, avvisi, fax, posta e piccioni viaggiatori sottoforma di duemila suonerie diverse e fastidiose come una multa sul parabrezza. Rifletto da quando la gente ha scoperto i “messaggi vocali”, flagello moderno di Dio, dopo la peste e l’invasione delle cavalette. Rifletto da quando un mese fa, per due settimane, non mi ha funzionato WhatsApp e la mia vita, nonostante tutto, è continuata regolarmente senza problemi o tragedie; a cambiare sembra sia stata quella dei miei amici o colleghi che mi hanno più volte scritto preoccupati che stessi bene, perché era da quel tale giorno a quella tale ora che non mi collegavo. Rifletto da quando il mio amico Carlo, durante quelle due settimane mi ha mandato un messaggio su WhatsApp per dirmi che non mi funzionava WhatsApp. Rifletto da quando ho capito che rifletto troppo.
Rifletto e penso che tutto questo non mi piace più! Non sono così stupido da non capire quanto io già sia immerso in tutto questo, da non capire che il mondo va avanti e bisogna stare al passo con i tempi, da non capire quanto abbia amato e ami ancora Steve Jobs, da non capire che se scrivo ciò su cui rifletto è perché ci sono dei lobotomizzati che mi leggono, ma tutto questo non mi piace più e quindi, caro mio Smartphone, ti spengo, perché io sono più forte di te. La modalità aereo è l’antidoto ai messaggi vocali, paragonabile solo all’antidoto per l’ebola: da quando ho scoperto questa modalità e deciso di applicarla in determinati momenti della mia vita, la mia vita stessa è cambiata. Per esempio in metropolitana. Ho appena finito di leggere due libri, era da tempo che non mi capitava una doppietta simile: li ho letti mentre andavo a sesto san Giovanni il lunedì mattina; li ho letti in 3 mesi e 12 lunedì certo, ma lo “spegnimento assistito” ha funzionato. E’ vero: ora so un po’ meno della vita degli altri, ma so un po’ più della mia e, da essere pensante, sono in grado di mettere in pratica nozioni apprese. Mi godo le mie mattinate a casa quando inizio tardi a lavorare e ne approfitto per scrivere e studiare un po’; la piccola scatola è li vicino a me che mi guarda senza poter parlare perchè io l’ho imbavagliata. La sera a cena o di giorno a pranzo, lei non parla e io mi godo la compagnia dei miei interlocutori, che spesso e volentieri sono impegnati a mandare messaggi o a controllare su FB se la vita di qualcuno è cambiata negli ultimi trenta secondi, ma pazienza: per questo esiste un buon bicchiere di vino. Io, ebbro, non mollo. Ho deciso di non leggere più messaggi troppo lunghi, a meno che siano scritti da persone interessanti, perchè penso che molte persone abbiano tanto tempo da perdere mentre io invece non ne ho, e, per etica e forte morale, che trasuda dell’inizio di questo articolo, ho detto NO ai messaggi vocali, se qualcuno non ha abbastanza tempo da perdere, per scrivermi un messaggio troppo lungo che non leggerò, allora vuol dire che sono troppo poco importante per quella persona da mandarmi un messaggio vocale che non ascolterò. Certo non è tutto così semplice, bello ed immediato: spegnere uno smartphone o metterlo in modalità aereo è meraviglioso e soddisfacente ma ci sono delle piccole controindicazioni, una su tutte: riaccenderlo! La riaccensione, dopo il divorzio ed il trasloco, è uno dei momenti più traumatici della vita, ma prima o poi deve avvenire; infiniti messaggi, beep e notifiche di applicazioni sconosciute si accumulano in quel secondo di terrore e sconforto che, ahime!, diventa ancor più di terrore e sconforto quando quel secondo rimane silenzioso e ci accorgiamo di non essere stati cercati e siamo intimamente infelici nel renderci conto che nessuno ci ha cagati.
Infine, rifletto e decido di non abusare di questo singolare e diabolico oggetto, dopo aver visto domenica scorsa al cinema “PERFETTI SCONOSCIUTI”. Un film a dir poco geniale nella sua semplicità, comico ed irriverente, divertente ma angosciante che, grazie ad una regia formidabile e ad un cast tutto italiano da oscar, disegna uno spaccato della società moderna, di come siamo diventati noi, delle nostre labili certezze e delle nostre debolezze nell’essere stati battuti da un piccolo demone instauratosi come un cancro. Se posso permettermi vi consiglio di andare a vedere il prima possibile questo capolavoro della cinematografia italiana e dopo averlo visto, se ancora vorrete, di condividere le vostre riflessioni con me. Per chi non lo andrà a vedere, il film si conclude con questa frase : “Siamo tutti frangibili e, deboli, abbiamo rinchiuso le nostre vite dentro ad una piccola scatola”.
Meditate gente meditate, e tu Carlo, amico mio, stai tranquillo: WhatsApp, grazie a Dio, è tornato a funzionare.

Grinta

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LETTERA AD UN FIGLIO NON ANCORA NATO

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Il festival di Sanremo è finito. Anni fa facevo parte di quella categoria di persone che lo guardava senza ammetterlo; ora sono grande, la settimana passata l’ho guardato quando ho potuto e l’ho trovato un bello spettacolo; non mi interessa ormai più molto cosa pensino gli altri, a me è piaciuta l’idea di ascoltare in diretta belle canzoni che tutti quanti canteremo nei prossimi giorni, proposte in una cornice che ho trovato artisticamente interessante. Il Festival è finito con la vittoria degli “STADIO” che hanno portato sul palcoscenico dell’Ariston “UN GIORNO MI DIRAI”, una bella canzone che parla del rapporto tra padre e figli. Io non sono ancora padre, ma penso tutti i giorni a come sarebbe esserlo, so che un giorno lo diventerò perché lo sento nel profondo del mio cuore, così come sento forte la responsabilità di educare e prendersi cura, in questo duro percorso chiamato vita, di un piccolo esserino che nascerà dall’amore o dall’ egoismo di due persone che lo metteranno al mondo senza interpellarlo.
Quasi per caso, durante il Festival ho avuto modo di ascoltare in diretta il monologo di Enrico Brignano, che, indipendentemente dal fatto che possa piacere o meno, ha trattato il tema della paternità immaginando un dialogo tra un padre ed un figlio non ancora nato. Durante il suo intervento stavo lavorando al PC: nell’ultimo minuto del monologo mi sono fermato, l’ho ascoltato, mi è entrato dentro aprendomi il cuore e facendomi brillare gli occhi.

“FIGLIO: papà, ma perché tu non sei ancora diventato mio papà?
PADRE: non ho capito la domanda scusa.
FIGLIO: no dicevo, ma perché io non sono ancora tuo figlio?
PADRE: ah questa domanda. Bella domanda, intelligente, si vede che sei figlio mio! Allora dunque, perché non sono ancora tuo papà? Perché sai nella vita si fanno delle scelte, quando si è giovani e forti si pensa di poter conquistare il mondo e di poterlo cambiare, poi ci si accorge che il mondo non cambia e che invece siamo cambiati noi e allora arriva il tempo dei pensieri e delle responsabilità, il tempo in cui ti chiedi: “ma io cosa ho fatto finora? E cosa devo fare ancora?” Figlio mio tu insisti a chiedermi perché non sono ancora diventato il tuo papà, non so perché non ti ho ancora avuto, forse sarà stata la paura, pensavo fosse troppo presto e che c’era ancora tempo; guarda se potessi decidere, per rifarmi del tempo perduto con te, io ti vorrei già grande, ma non così grande da vederti andar via senza salutare, con il motorino su una ruota, no no no, grande di sei anni, sì di soli sei anni, per poter fare un giro in bicicletta con te, per farti andare avanti e seguirti con lo sguardo e vederti stare magicamente in equilibrio! Ecco, l’equilibrio, è questo che mi auguro per te, l’equilibrio in tutte le cose, anche quando la strada sarà impervia e faticosa e tu andrai in giro per il mondo. Ora però io mi chiedo: ma tu sei proprio sicuro che vuoi me come padre? Perché io non sono il massimo te lo dico, io ho le idee confuse a riguardo, io non lo so come si faccia il padre, nessuno me lo ha detto, se tu vieni al mondo, figlio mio, io dovrei cambiare un sacco di cose: il mio modo di pensare, il mio modo di essere, dovrei cambiare le mie abitudini e persino la macchina, dovrei cambiare il letto per il divano e perfino cambiarti i pannolini. Io non sono padre! Io mi sento ancora figlio! No no guarda, troppe cose da cambiare io non sono capace ………………………………………………………………………………………………………………
Scusa come dici? E va bene ho capito, vorrà dire che quando arriverai sarai tu ad insegnarmi come si diventa grandi!”

Dedico queste parole, che avrei voluto scrivere io, a TE ovunque tu sia in questo momento, so che ci conosceremo presto.

Grinta

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NON SI INGRASSA…

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La mia vita è Sport! Lo è sempre stata e penso che sempre lo sarà. Faccio l’istruttore sportivo da quasi 15 anni dopo aver nuotato, essere andato in barca a vela, aver giocato a calcio e sciato. Il mio lavoro consiste nel raccontare di come lo sport possa far vedere il mondo da un altro punto di vista, di come il movimento, l’attività fisica, la motivazione e l’azione possano cambiare il pianeta e la vita di molte persone abbassando il rischio di malattie e diminuendo la spesa per la sanità pubblica.
In questi ultimi 15 anni ho studiato molto, mi sono documentato, ho sperimentato, ho praticato, ho fatto corsi, preso brevetti e certificazioni varie, ma il mio parlare di benessere si basa su alcune teorie, imparate agli albori della mia carriera da istruttore, forse poco scientifiche e molto casalinghe, ma in grado di arrivare all’uomo della strada” , ovvero al 95% della popolazione, a tutti quelli che, ahimè, non fanno attività fisica o che la fanno in modo non professionistico e che non hanno bisogno di troppa scienza per avvicinarsi ad un mondo meraviglioso percepito però come noioso, stancante e molto spesso inutile.
In questi giorni di vacanze natalizie, vorrei parlare ad un ognuno di voi di una teoria rivoluzionaria, in grado di stravolgere le sorti del globo terracqueo, teoria che i miei allievi conoscono ormai a memoria.
TITOLO della TEORIA
NON SI INGRASSA DA NATALE A CAPODANNO MA DA CAPODANNO A NATALE.
SOTTOTITOLO della TEORIA
E’ meglio un grande sgarro una volta per qualche giorno di fila, che tanti piccoli sgarri durante tutti giorni dell’anno.

Le vacanze di Natale, sono fatte per stare insieme ai propri cari, ai propri amici e, vivendo nel Belpaese, per condividere con loro il buon cibo ed il buon vino che tutto il mondo ci invidia. Non è questo il periodo per le diete, questo è il tempo per la gioia, l’allegria e lo stare insieme, magari anche intorno ad un tavolo. Questo non vuol dire abbuffarsi, essere ingordi, incuranti degli eccessi e degli sprechi presentandosi a gennaio con molti kg in più con propositi non convinti e che saranno presto disillusi, ma semplicemente capire che c’è un tempo per tutto e ogni giorno dell’anno è un’ottima occasione per prenderci cura di noi stessi.
Anche quest’anno con GetFIT abbiamo creato il Panettone della salute, il primo panettone al mondo che ti tiene in forma, non perché il panettone sia dietetico, ma perché essendo il più buono di Milano, ti permetterà di essere felice ad ogni assaggio e momento di condivisione con gli amici e perché vi darà l’opportunità di frequentare i nostri centri per un periodo a vostra scelta, dove scoprire che l’attività fisica è gioia e divertimento e non solo fatica e noia.

Un saluto a tutti coloro che muovendosi tutto l’anno vivono con gioia il Natale.
Uno “state tranquilli e godetevela” a tutti quelli che nonostante facciano regolarmente attività fisica, vivono con ansia e stress un po’ di cibo in più.
Un grande incoraggiamento a quelli che al contrario, durante i fasti Natalizi, hanno sensi di colpa proprio perché durante l’anno non fanno attività fisica.

Un tifo sfegatato, degno della curva degli ultras, che genera da una forte preoccupazione per tutte quelle persone che, incuranti del pericolo, non hanno un minimo senso di colpa verso loro stessi nel non fare attività fisica semplice e regolare durante l’anno.
Meditate gente, meditate, gennaio è alle porte, ma siamo ancora al 29 Dicembre, l’Epifania che tutte le feste si porta via è ancora lontana.

Buone feste

Grinta

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