QUALCUNO MI DICE… (parte 2)

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Qualcuno mi dice che ogni tanto i miei articoli sono troppo lunghi per un blog. Un po’ mi offendo, incasso, rifletto, penso che abbia ragione e poi spiego. Spiego raccontando il motivo per cui scrivo. Scrivo perché ho delle cose da dire e che, vivendo da solo, forse frustrato o forse intimamente felice, mi piace dirle ad un pubblico indefinito che, udite udite, può scegliere anche di non leggerle. Scrivo di cose che mi piacciono, di argomenti che ritengo interessanti e a volte di banalità che guardate da un altro punto di vista possono (spero) offrire spunti interessanti. Scrivo e pubblico i miei articoli sempre di prima mattina, immaginando che il mio lettore sia colui che con calma sta facendo una buona colazione con musica di sottofondo e una bella luce che entra dalle finestre; o forse colui che un po’ di fretta, ma non troppa, si appresta ad uscire di casa e per il momento è ancora bloccato, tra un misto di piacere e dovere, sulla tazza del water; o forse colui che sta sul tram o sulla metropolitana, fagocitato da internet, chino sulla “piccola scatola”, alla ricerca di qualcosa da leggere di interessante per riempire il tempo che lo separa dall’arrivo in ufficio.
Scrivo immaginando tutto questo e sbaglio.
Sbaglio perché dopo l’articolo di giovedì scorso “QUALCUNO MI DICE… (parte 1)”, cinque lettori del mio blog mi hanno scritto per condividere con me che lo stato d’animo con il quale hanno letto ed il luogo dove lo avevano fatto non erano quelli da me supposti.
C’è chi l’ha trovata un’interessante lettura da fare in funivia, chi ha tenuto a precisare che si trovava in ufficio e non sulla tazza del water, (che sia mai che si possa pensare che anche lui/lei faccia dei bisognini) chi mi ha letto al mattino appena sveglio ancora sotto le “calde coperte”, chi invece l’ha apprezzata come compagnia e piacevole lettura serale che è servita a “scrollare via di dosso un lungo giovedì” e poi c’è stata Gabriella che mi hai scritto: “Caro Matteo ti sei dimenticato di scrivere che i tuo pezzi li leggono anche i pensionati come me; sono contenta perché leggendoti è come se ti incontrassi”. Sono felice e penso che questo pensiero, cogliendo nella sua semplicità l’essenza della mia opera, valga più di mille inutili rime baciate. Grazie.
Visto che siamo in periodo di campagna elettorale, primarie e referendum, l’articolo di oggi, per par-condicio, si rivolge a tutti coloro che hanno fretta, sono sempre di corsa, vivono un po’ stressati, mettono via lo step dopo il brano 7 durante body pump e che in metropolitana, tendenzialmente, dopo l’immancabile dose di Facebook, litigano con il prossimo; si rivolge a chi vive una vita una vita “ermetica” piuttosto che “romantica”, immaginando che in quell’ermetismo ci sia tanto di romantico.
L’articolo di oggi vuole essere solo una riflessione. Una riflessione su una pubblicazione scritta il 26 Gennaio 1917, quasi 100 anni fa, a Santa Maria la Longa. Una pubblicazione tanto amata dagli studenti italiani, ma probabilmente per motivi di altro genere rispetto al suo reale significato. Vuole essere un pensiero sul fatto che questo testo, scritto in una “mattina” sul fronte di guerra, se compreso nel suo più intimo intento di descrizione del rapporto tra stato dell’uomo e natura, risulti quanto mai attuale ai giorni d’oggi. Un pensiero che dedico a tutti coloro che lasciando per un attimo la piccola scatola da parte, alzando gli occhi al cielo, salendo in superficie all’uscita della metro, andando con lo la mente oltre la finestra o semplicemente perdendosi con lo sguardo negli occhi del loro amore, possano sentirsi ebbri di vita, dolcemente trafitti da un raggio di sole:

M’illumino d’immenso.

Caro Ungaretti, lo devo ammettere: sei stato davvero bravo. Io ci provo a starti dietro con il mio ermetico romanticismo, ecco come:

Grinta

Tempo previsto di lettura 3 minuti.

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