Il festival di Sanremo è finito. Anni fa facevo parte di quella categoria di persone che lo guardava senza ammetterlo; ora sono grande, la settimana passata l’ho guardato quando ho potuto e l’ho trovato un bello spettacolo; non mi interessa ormai più molto cosa pensino gli altri, a me è piaciuta l’idea di ascoltare in diretta belle canzoni che tutti quanti canteremo nei prossimi giorni, proposte in una cornice che ho trovato artisticamente interessante. Il Festival è finito con la vittoria degli “STADIO” che hanno portato sul palcoscenico dell’Ariston “UN GIORNO MI DIRAI”, una bella canzone che parla del rapporto tra padre e figli. Io non sono ancora padre, ma penso tutti i giorni a come sarebbe esserlo, so che un giorno lo diventerò perché lo sento nel profondo del mio cuore, così come sento forte la responsabilità di educare e prendersi cura, in questo duro percorso chiamato vita, di un piccolo esserino che nascerà dall’amore o dall’ egoismo di due persone che lo metteranno al mondo senza interpellarlo.
Quasi per caso, durante il Festival ho avuto modo di ascoltare in diretta il monologo di Enrico Brignano, che, indipendentemente dal fatto che possa piacere o meno, ha trattato il tema della paternità immaginando un dialogo tra un padre ed un figlio non ancora nato. Durante il suo intervento stavo lavorando al PC: nell’ultimo minuto del monologo mi sono fermato, l’ho ascoltato, mi è entrato dentro aprendomi il cuore e facendomi brillare gli occhi.
“FIGLIO: papà, ma perché tu non sei ancora diventato mio papà?
PADRE: non ho capito la domanda scusa.
FIGLIO: no dicevo, ma perché io non sono ancora tuo figlio?
PADRE: ah questa domanda. Bella domanda, intelligente, si vede che sei figlio mio! Allora dunque, perché non sono ancora tuo papà? Perché sai nella vita si fanno delle scelte, quando si è giovani e forti si pensa di poter conquistare il mondo e di poterlo cambiare, poi ci si accorge che il mondo non cambia e che invece siamo cambiati noi e allora arriva il tempo dei pensieri e delle responsabilità, il tempo in cui ti chiedi: “ma io cosa ho fatto finora? E cosa devo fare ancora?” Figlio mio tu insisti a chiedermi perché non sono ancora diventato il tuo papà, non so perché non ti ho ancora avuto, forse sarà stata la paura, pensavo fosse troppo presto e che c’era ancora tempo; guarda se potessi decidere, per rifarmi del tempo perduto con te, io ti vorrei già grande, ma non così grande da vederti andar via senza salutare, con il motorino su una ruota, no no no, grande di sei anni, sì di soli sei anni, per poter fare un giro in bicicletta con te, per farti andare avanti e seguirti con lo sguardo e vederti stare magicamente in equilibrio! Ecco, l’equilibrio, è questo che mi auguro per te, l’equilibrio in tutte le cose, anche quando la strada sarà impervia e faticosa e tu andrai in giro per il mondo. Ora però io mi chiedo: ma tu sei proprio sicuro che vuoi me come padre? Perché io non sono il massimo te lo dico, io ho le idee confuse a riguardo, io non lo so come si faccia il padre, nessuno me lo ha detto, se tu vieni al mondo, figlio mio, io dovrei cambiare un sacco di cose: il mio modo di pensare, il mio modo di essere, dovrei cambiare le mie abitudini e persino la macchina, dovrei cambiare il letto per il divano e perfino cambiarti i pannolini. Io non sono padre! Io mi sento ancora figlio! No no guarda, troppe cose da cambiare io non sono capace ………………………………………………………………………………………………………………
Scusa come dici? E va bene ho capito, vorrà dire che quando arriverai sarai tu ad insegnarmi come si diventa grandi!”
Dedico queste parole, che avrei voluto scrivere io, a TE ovunque tu sia in questo momento, so che ci conosceremo presto.
Grinta